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Terza indagine Federconsumatori sul reddito da lavoro dipendente dei/delle modenesi


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Terza indagine Federconsumatori sul reddito da lavoro dipendente dei/delle modenesiSiamo giunti al terzo rapporto sui redditi da lavoro dipendente e pensione in provincia di Modena, elaborato sui dati della società fiscale della CGIL, largamente prima nel territorio per attività svolta. Una fotografia del reddito delle modenesi e dei modenesi, che quest’anno si sdoppia. Questa parte del rapporto è dedicata al lavoro dipendente, mentre quella relativa alle pensioni sarà presentata nelle prossime settimane, con una significativa novità: assieme all’evoluzione del reddito dei pensionati presenteremo la condizione dei più giovani, rispetto all’attesa pensionistica” –  spiegano Marzio Govoni, Presidente Federconsumatori provincia di Modena APS ed Elisabetta Valenti, Referente Caaf Cgil.

“Il nostro report analizza i dati delle dichiarazioni dei redditi da lavoro dipendente presentate nel corso del 2023 da parte dei modenesi, e relative all’anno 2022; la serie storica sulla quale è basato il confronto dei dati si riferisce al periodo 2016-2022, e comprende 291.000 certificazioni uniche. Solo il termine “crollo” può sintetizzare quanto accaduto sul fronte dei redditi nel corso del 2022. Era un dato atteso e annunciato, ma le dimensioni ed il peso di questo crollo, sul lavoro dipendente, lasciano attoniti. Un fenomeno che peraltro continuerà, accentuando il peggioramento, quando misureremo il dato delle dichiarazioni attualmente in corso di presentazione. Un arretramento di redditi, per capirci,
che non ha eguali nella storia del nostro paese dal dopoguerra ad oggi. Parliamo di una perdita di potere d’acquisto dei salari che nell’arco di un solo anno, in provincia di Modena, ha raggiunto mediamente l’8.1% a fronte di una inflazione che ha toccato l’8,3%. E’ del tutto evidente la pressoché totale assenza, nella media del 2022, di incrementi salariali. Nel 2022 e nel 2023 abbiamo assistito ad un pesante impoverimento dei modenesi e degli italiani; un impoverimento che non ha avuto eguali in Europa. Contemporaneamente va rilevata la crescita dei profitti delle imprese di interi settori, spesso corresponsabili delle dinamiche inflattive. Uno spostamento dai redditi ai profitti che è probabilmente la più grande operazione di ingiustizia sociale degli ultimi ottant’anni nel nostro paese.
Parliamo di una perdita del valore delle retribuzioni che raggiunge il 12,3%, se esaminiamo i dati a partire dal 2016. In sette anni le lavoratrici ed i lavoratori dipendenti della nostra provincia hanno perso, rispetto al reddito annuale, quasi due retribuzioni.
Dentro a questo terribile dato, negativo per tutti i lavoratori dipendenti, ancora una volta segnaliamo l’ampliarsi delle forbici reddituali. Peggiorano ancora di più i redditi dei giovani e delle donne, con il punto più critico tra le giovani donne. L’anno scorso avevamo registrato segnali di ripresa dei redditi, nel periodo post Covid, seppur limitati all’occupazione maschile qualificata nella fascia oltre i 55 anni.
Nelle dichiarazioni presentate nel 2023 manca il seppur minimo dato positivo.

Si accentua la questione di genere. Le donne, più frequentemente degli uomini, operano con contratti a tempo determinato; se il reddito medio degli uomini è di 21.550 euro, quello delle donne si ferma a 15.626 euro, il 27,5% in meno. Effetto causato dalla maggior presenza delle donne nei settori poveri, ad elevata irregolarità, ed in quelle aree, come il commercio ed il turismo, dove la maggior parte dei contratti è a part-time, in grandissima parte involontari. Nel 2022 le donne hanno visto un arretramento dei redditi superiore a quello degli uomini, e se il confronto si spinge al 2016 le donne hanno perso il 14,2% del proprio reddito, contro il 10,2% degli uomini. Basti un ultimo dato; nelle dichiarazioni superiori a 50.000 euro solo il 16% sono quelle prodotte da donne.

Si accentua la questione anagrafica. Se nel settore manifatturiero, a maggior presenza maschile, gli under 35 hanno perso nel periodo 2016-2022 “soltanto” il 4,8% del salario, per quel che riguarda gli addetti under 35 del settore commercio si sale al -16%, fino al -27% del settore ristorazione, alberghi e pubblici esercizi; un settore grande, con forte presenza di giovani, ma sempre più devastato dal lavoro irregolare, nelle sue molteplici forme. Tra gli under 25 il 65% è a tempo determinato, un dato che resta altissimo anche nella fascia 25-34, con il 44%.

Si accentua la questione territoriale. Nel crollo dei redditi del 2022, in attesa di misurare il 2023, può sorprendere il dato della città di Modena, dove è fortissimo l’arretramento del valore reale dei redditi. Un calo di quasi il 10%, in parte causato dal generale arretramento del Terziario, particolarmente presente in città. Un dato molto distante da una narrazione eccessivamente ottimistica sullo stato del capoluogo, e un tema che non sembra al centro (ma nemmeno alla periferia) dell’attenzione delle forze politiche, impegnate nella competizione elettorale amministrativa ed europea. La città di Modena è capoluogo della provincia, ma anche del lavoro precario e sottopagato, dobbiamo sempre ricordarlo. Dopo la buona performance dell’anno precedente, trainata dal settore biomedicale, arretra pesantemente (-9,4%) anche il reddito dei lavoratori dell’Area Nord. La zona di Mirandola torna così alla pari con l’area collinare-montana, mentre Carpi, caratterizzata da tempo dal forte decadimento dell’economia manifatturiera, riduce sempre di più il differenziale di reddito con le due aree estreme della nostra provincia. Anche a Carpi sarebbe necessario un bagno di realismo sullo stato dell’economia e dei redditi, superando la troppo frequente commemorazione dei fasti del passato. Sono quattro le aree della provincia dove oltre ad un calo del potere d’acquisto abbiamo registrato anche un calo dei redditi nominali: sono nell’ordine di maggior negatività, Mirandola, Modena, Carpi e Castelfranco Emilia.

Si accentua la crisi delle famiglie modenesi. Una delle nostra tabelle riporta gli effetti dell’arretramento del potere d’acquisto dei redditi da lavoro per alcune tipologie di famiglie. Ancora una volta la famiglia under 35 con lavori in area terziario ha subito un calo di valore del reddito familiare attorno al 20%, nell’arco di sette anni, mentre all’opposto il calo per la famiglia di over 55, con occupazioni negli Enti locali e nel settore ceramico ha registrato un più contenuto arretramento del 5%. Un calo che per la parte più debole delle famiglie si è trasformato in incertezza nel futuro, in denatalità, in esistenze troppo a lungo precarie. Ma anche in scelte di riduzione dei consumi, anche alimentari, nella rinuncia a cure, sempre più spostate sul privato. Quasi metà dei mutui ha oggi una durata superiore a 30 anni; si fa il
mutuo a 30 anni, si finisce di pagarlo a 60, o 65 anni. Cresce l’indebitamento degli italiani, si riducono i risparmi; soprattutto continua ad avanzare il confine della povertà, arrivando ad inglobare famiglie a doppio reddito, ma troppo modesto per sostenere i maggiori costi di mutui, affitti, energia, spesa alimentare.

Infine. La crisi dei redditi dovrebbe essere il prisma attraverso il quale osservare tanti altri fenomeni, primo tra tutti la sfiducia sociale, che cresce inarrestabile. Al contrario sembra essere un tema rimosso dall’agenda della politica, al limite utile per un applauso, ma alla fine relegato nell’angolo delle cose impossibili. Oppure ci si rifugia nell’incredulità: “Tanto al mare è sempre tutto esaurito”. Invece la crisi dei redditi esiste, e produce effetti, tutti negativi. Nell’indagine segnaliamo il progressivo assottigliamento dei redditi medi e l’espansione della fascia più debole, e dentro questa la creazione di una ulteriore area, ancora più critica.

L’Italia è un paese dove negli anni la rabbia si è trasformata in rancore, la lotta di classe in sfiducia generalizzata; un paese dove l’ascensore sociale è in panne da molti anni, dove crescono i profitti e calano i redditi da lavoro. Dove si tassano le tasse, come nel caso delle accise sui carburanti, ma non si riesce ad affrontare il tema della tassazione dei grandi patrimoni e degli iniqui ultraprofitti di Banche, petrolieri, gestori d’energia e altri ancora. Temi sui quali si sono accennati interventi in un recente passato, ma anche temi del tutto espunti dall’azione dell’attuale Governo. Un Governo peraltro del tutto disinteressato alla complessa azione sindacale che tra il 2023 ed il 2024 ha “mosso” i salari di alcuni
settori e aziende, rinnovando contratti e recuperando una parte dei redditi persi negli ultimi anni. Ma una azione che, da sola – concludono Govoni e Valenti – non può bastare a recuperare quei due stipendi mediamente persi dai modenesi, nell’arco di pochi anni”.

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